Nel  sollevare  conflitto  di  attribuzioni  dinanzi  alla  Corte
  costituzionale  in relazione alla delibera pronunciata dalla Camera
  dei deputati del Parlamento italiano in data 9 luglio 1998; osserva
                           I n  f a t t o
    Con  querela  del  25 luglio  1994  il  dott.  Giancarlo Caselli,
  all'epoca procuratore della Repubblica presso il tribunale Palermo,
  esponeva, tra l'altro, che l'on. Vittorio Sgarbi "con dichiarazioni
  relative alle indagini concernenti i lavori di ristrutturazione del
  Teatro  Massimo  di  Palermo,  rese  sia a mezzo stampa che a mezzo
  televisione",  aveva  leso  la  sua immagine professionale e la sua
  dignita' di magistrato.
    Il  querelante,  premesso  che  nell'ambito  di tali indagini era
  stata consegnata una informazione di garanzia al sindaco di Palermo
  prof.  Orlando,  aggiungeva, infatti che non poteva essere ritenuto
  piu'  lesivo  della dignita' di un magistrato che mettere in dubbio
  la  sua  lealta'  istituzionale  e  la sua fedelta' al principio di
  legalita', principi ambedue consacrati nella Costituzione.
    Ne  faceva, dunque, discendere che l'affermazione, da parte dello
  Sgarbi,  che  la  procura della Repubblica di Palermo aveva operato
  una  "decisione  politica"  nell'ambito  di dette indagini, avendo,
  dapprima,  favorito  il  sindaco  di  Palermo,  prof.  Orlando, non
  spedendogli  l'avviso  di  garanzia e, successivamente, dandogli il
  "colpo di grazia" in un momento di grave crisi politica, non poteva
  che  essere  intesa  come  la  piu'  grave  delle offese che poteva
  recarsi ad un giudice.
    La  querela  veniva  trasmessa  al  procuratore  della Repubblica
  presso  il tribunale di Caltanissetta e con decreto del 22 novembre
  1995  il  giudice  dell'udienza  preliminare, su richiesta dell'on.
  Sgarbi,  disponeva  il  giudizio  immediato dinanzi al tribunale di
  Caltanissetta  nei  confronti  del predetto deputato per rispondere
  del delitto di diffamazione.
    Piu'  in  particolare veniva dato carico all'on. Sgarbi del reato
  previsto  e  punito  dall'art. 595, primo e secondo comma, c.p. per
  avere  "nel  corso  della trasmissione "Sgarbi quotidiani andata in
  onda  sulla rete televisiva "Canale 5 il 20 giugno 1994, gravemente
  offeso  la  reputazione  del  dott.  Giancarlo Caselli, procuratore
  della  Repubblica  presso  il tribunale di Palermo, affermando: "Il
  giudice  Caselli  si  e'  dimenticato, nel corso di questi mesi, di
  mandare  un avviso di garanzia a Orlando per i famosi 100 miliardi.
  Ha  aspettato  ad  inviarglielo, il giudice Caselli... ha aspettato
  che  Orlando  fosse eletto parlamentare europeo. Ha consentito, con
  evidente  favoreggiamento,  che  fosse  eletto  il  suo compagno di
  presepe  per  poi  mandargli  l'avviso  di  garanzia", utilizzando,
  quindi,  espressioni, comunque, travalicanti il legittimo esercizio
  del diritto di critica, in quanto di per se stesse, obbiettivamente
  lesive  della  stima  di  cui  gode  il suddetto magistrato nel suo
  ambiente  professionale  e, piu' in generale, nel corpo sociale. In
  Roma e Palermo il 20 giugno 1994.
    Nel  corso  del giudizio svoltosi nella contumacia dell'imputato,
  il dott. Caselli si e' costituito parte civile.
    Con  ordinanza  in data 27 maggio 1996 il tribunale, su richiesta
  dei  difensori  dell'imputato,  disponeva  la trasmissione di copia
  degli atti alla Camera dei deputati e sospendeva la trattazione del
  procedimento.
    Con  nota  del  13  luglio  1998  il  Presidente della Camera dei
  deputati  comunicava che nella seduta del 9 luglio 1998 l'assemblea
  aveva  deliberato  nel senso che i fatti per i quali e' in corso il
  procedimento   concernono   opinioni  espresse  da  un  membro  del
  Parlamento    nell'esercizio   delle   sue   funzioni,   ai   sensi
  dell'art. 68,  primo  comma, della Costituzione e trasmetteva copia
  della  relazione  della  giunta  per  le autorizzazioni a procedere
  nonche' del resoconto stenografico della seduta dell'assemblea.
    Ritenuta   cessata,   pertanto,   la  causa  di  sospensione  del
  procedimento,  con  decreto  di  citazione notificato allo Sgarbi e
  alla parte civile veniva fissata, per la prosecuzione del giudizio,
  l'udienza del 23 febbraio 2000.
    Tanto premesso in fatto il tribunale osserva
                         I n  d i r i t t o
    Va  preliminarmente  sottolineato  che  il  tribunale  ritiene di
  essere legittimato a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri
  dello   Stato   in   quanto  organo  giurisdizionale  competente  a
  dichiarare,   in   via   definitiva,  la  volonta'  del  potere  di
  appartenenza.
    E'  indubbio,  infatti, che la delibera di insindacabilita' sopra
  indicata   -   se   non   rimossa   -  inibisce  l'esercizio  della
  giurisdizione poiche', allo stato, il tribunale, proprio sulla base
  della delibera che si impugna e di cui si chiede l'annullamento, e'
  tenuto  a  pronunciare  la  improcedibilita' dell'azione penale nei
  confronti  dell'imputato  per aver il predetto agito nell'esercizio
  del mandato di parlamentare.
    Nel merito si osserva che la Camera dei deputati, con la delibera
  sopra citata, ha ritenuto che i fatti oggetto del procedimento sono
  coperti  dalla prerogativa parlamentare, senza fornire pero' alcuna
  motivazione dei presupposti per la operativita' della prerogativa.
    E  cio'  legittima,  a  parere del tribunale, il ricorso volto ad
  ottenere  la  verifica da parte della Corte costituzionale circa il
  corretto uso del potere attribuito alla Camera del Parlamento.
    A  tale  fine non puo' essere trascurato di considerare che sulla
  base  dei  principi  affermati  dalla  Corte di Cassazione sussiste
  certamente materia di conflitto.
    E',  infatti,  principio  consolidato  nella giurisprudenza della
  Corte  di  Cassazione  che la Corte costituzionale, pur non essendo
  chiamata  a  riesaminare, nel merito, la valutazione compiuta dalla
  Camera,  deve  verificare  se,  in occasione della dichiarazione di
  insindacabilita',  l'esercizio  da parte della Camera della propria
  potesta'  non comporti - per vizio in procedendo - una compressione
  o  menomazione  della sfera di attribuzioni dell'a.g.o. (cfr. Cass.
  sez. V n. 936 del 17 luglio 1998 in proc. Sgarbi).
    Secondo   i  principi  dettati  dalla  Corte  di  Cassazione,  e'
  consentito  al giudice del conflitto esperire una verifica esterna,
  entro   i  limiti  dell'arbitrarieta'-plausibilita'  dei  vizi  del
  procedimento,  o  il controllo circa l'omessa o erronea valutazione
  dei presupposti della prerogativa da parte della Camera.
    Il  conflitto e' stato, pertanto, ritenuto ammissibile laddove si
  sia  trattato  di  verificare se le regole di giudizio adottate non
  trasmodassero  i  limiti  della  ragionevolezza e plausibilita' per
  approdare  alla  arbitrarieta',  alla  contraddittorieta'  ed  alla
  illogicita' manifesta.
    Tale  indirizzo  e'  stato ribadito con la sentenza 26 novembre -
  5 dicembre  n. 375  del  1997  con  cui  la  Corte di Cassazione ha
  riaffermato  il  principio  per cui il conflitto di attribuzione e'
  ammissibile  quando  si  tratti di accertare se vi sia stato un uso
  distorto  ed  arbitrario del potere costituzionalmente riconosciuto
  alle  Camere  del Parlamento, tale da vulnerare le attribuzioni del
  potere  giudiziario  e  interferire  sul  loro  esercizio,  e  cio'
  attraverso  la  verifica  della  regolarita'  dell'iter procedurale
  seguito  dalla  Camera  e dalla riferibilita' dell'atto incriminato
  alle funzioni parlamentari.
    Sotto  tale  ultimo aspetto la Corte ha chiarito, inoltre, che la
  funzione  parlamentare  per  sua  natura,  puo'  svolgersi in forma
  libera,  potendo  ricomprendersi in tale funzione non solamente gli
  atti  tipici  ma  anche quelli presupposti e conseguenziali, senza,
  tuttavia,  che  da  cio'  possa  trarsi la conclusione che l'intera
  attivita'  politica  del parlamentare sia coperta dalla prerogativa
  di  cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione che non puo' e
  non deve essere trasformata in privilegio personale.
    La  Corte  costituzionale  con  sentenza  del  7-18 luglio  1998,
  n. 289,  ha  affermato  che  la  prerogativa  si  estende a tutti i
  comportamenti   del   membro  del  Parlamento  purche'  "funzionali
  all'esercizio  delle attribuzioni proprie del potere legislativo" e
  che  "come  attivita'  libera  nel  fine e di natura generale... la
  funzione  parlamentare  non  si  risolve  solo  negli  atti tipici,
  ricomprendendo anche quanto di essi sia presupposto o conseguenza".
    La Corte ha affermato, altresi', che "proprio il nesso funzionale
  costituisce  il  discrimine  tra  quell'insieme  di  dichiarazioni,
  giudizi   e   critiche   -   che   ricorrono   cosi'  di  frequente
  nell'attivita'  politica di deputati e senatori - e le opinioni che
  godono  della  particolare  garanzia  prevista  dall'art. 68, primo
  comma, della Costituzione".
    E  ha,  pertanto,  escluso  ogni  collegamento tra le espressioni
  contestate come diffamatorie al deputato laddove ha ritenuto di non
  poter  individuare una connessione con atti tipici della funzione o
  un   intento   divulgativo   di   una   scelta  o  di  un'attivita'
  politico-parlamentare.  (cfr.  per  tutte  sentenza  26 novembre  -
  5 dicembre 1997, n. 375).
    Di  recente la Corte, chiamata a pronunciarsi su un conflitto tra
  poteri  dello  Stato  del tutto analogo, ha ulteriormente precisato
  che  in  linea  di  principio  debbono  ritenersi sindacabili tutte
  quelle  dichiarazioni  che  fuoriescono  dal  campo applicativo del
  "diritto  parlamentare"  e che non siano immediatamente collegabili
  con  specifiche  forme di esercizio di funzioni parlamentari, anche
  se  siano  caratterizzate  da  un  asserito  "contesto  politico" o
  ritenute,  comunque,  manifestazioni  di sindacato ispettivo. (cfr.
  sentenza  11-17 gennaio  2000  nella  Gazzetta  Ufficiale, 1a serie
  speciale, n. 4 del 26 gennaio 2000).
    In  base  a  tale  orientamento il nodo della insindacabilita' va
  sciolto, pertanto, nel senso della necessita' di una corrispondenza
  sostanziale  di  contenuti  tra  le  opinioni  incriminate  e  atto
  parlamentare,  rimanendo  escluse  dalla  prerogativa  in questione
  tutte  le  dichiarazioni  genericamente ricollegabili all'attivita'
  politica  del  parlamentare  medesimo  che non trovino rispondenza,
  contenutistica e sostanziale, in specifici atti parlamentari.
    Alla  luce  di siffatti principi il collegio rileva che, nel caso
  in   esame,   la  Camera  ha  fatto  un  uso  distorto  del  potere
  attribuitole,  non avendo dato conto del motivo per cui ha ritenuto
  che  le dichiarazioni dell'on. Sgarbi fossero connesse ad attivita'
  parlamentari tipiche o, comunque, ad iniziative parlamentari vere e
  proprie.
    Ne', in particolare, si e' soffermata ad esaminare se sussistesse
  quella  corrispondenza  sostanziale tra il contenuto delle opinioni
  espresse  dal  deputato  rispetto ad atti parlamentari che la Corte
  costituzionale ritiene indefettibile presupposto per l'operativita'
  della prerogativa.
    Laddove,  invece,  la  prospettazione  dell'assoluta  mancanza di
  qualsivoglia   connessione   con  la  funzione  parlamentare  delle
  affermazioni   incriminate   si   profila  del  tutto  ragionevole,
  risultando  le opinioni espresse dallo Sgarbi pronunciate nel corso
  di  una  trasmissione  televisiva  non  preceduta  da  un dibattito
  parlamentare  specifico e non ricollegabili, pertanto, nemmeno latu
  sensu ad una iniziativa parlamentare di analogo contenuto.
    La  mancanza  di  motivazione vizia, dunque, irrimediabilmente la
  delibera  in  esame:  espressione di un uso arbitrario e, comunque,
  distorto del potere attribuito alla Camera.
    Non   puo'   tacersi,  inoltre,  che  l'utilizzazione  del  mezzo
  televisivo   (proprio   per  la  sua  ampia  diffusivita')  rendeva
  assolutamente  necessario,  nel  caso  in  esame, che il deliberato
  facesse   concreti  riferimenti  alla  connessione  delle  opinioni
  rispetto   all'attivita'   garantita,  si'  da  rendere  palese  la
  legittimita'  della  compressione del diritto all'integrita' morale
  della  parte  offesa  e  giustificare, pertanto, il prevalere della
  funzione parlamentare.
    Va   sottolineato,  infatti,  che  l'ostacolo  all'azione  penale
  previsto dall'art. 68, primo comma, della Costituzione, rappresenta
  nell'ordinamento  giuridico  un'eccezione  alla  regola al doveroso
  esercizio  della  giurisdizione su quei fatti potenzialmente lesivi
  dell'altrui  dignita'  e  onore e che, proprio per il suo carattere
  eccezionale,   la   delibera   che   ravvisa  i  presupposti  della
  insindacabilita'   delle   opinioni  espresse  da  un  parlamentare
  necessita di adeguata e convincente motivazione.
    In   difetto   di  motivazione  della  Camera  dei  deputati  sul
  collegamento  tra  le  opinioni  espresse  dall'on. Sgarbi e le sue
  funzioni  di  parlamentare,  reputa,  pertanto,  il collegio che il
  deliberato  della  Camera  ha causato la menomazione della sfera di
  attribuzioni  proprie  dell'autorita'  giudiziaria  e  costituisca,
  pertanto,  materia  di  conflitto  di attribuzione tra poteri dello
  Stato.